Cumulo Nembo: un rischio assolutamente da evitare in Parapendio e Deltaplano

Il 24 luglio 1988 nella tragedia del Cornizzolo perdevano la vita cinque deltaplanisti inghiottiti da un cumulo nembo. E questo come sappiamo non è stato purtroppo l’unico incidente grave causato da un cumulo nembo che costituisce un rischio serio per i piloti di deltaplano e parapendio.

Spero che la cronaca di quello che mi è accaduto nel 1986 in una situazione analoga , ma con un finale più fortunato, possa essere di monito e aiuto ai piloti di oggi.

Ma prima di raccontarti il mio viaggio nel cumulo nembo e come ne sono uscito ci sono delle cose importanti che devi sapere.

 

Cumulo nembo e rischi per il volo libero in Deltaplano e Parapendio

Il Cumulo Nembo è uno dei maggiori pericoli non solo per il volo libero ma anche per la circolazione aerea in generale e rappresenta una possibile evoluzione del congestus (nube a sviluppo verticale di aspetto simile alla panna montata o alla superficie di un cavolfiore da tenere a debita distanza). La base può arrivare fino a qualche centinaio di metri da terra e la sommità può raggiungere i 9-10.000 metri.

L’enorme massa d’aria ascendente incontra, a quella quota, una zona di inversione termica che la frena, generando una tipica forma piatta, ad incudine: il cumulo nembo o cumulus nimbus racchiude nel suo interno pioggia, neve, grandine, fulmini e saette e le ascendenze che si generano al suo interno (così come le discendenze) arrivano ai 30 mt al secondo.

Durante le fasi di sviluppo e di dissoluzione, inoltre, il nembo genera venti orizzontali anche molto violenti per il notevole richiamo di aria dalle zone circostanti.

La semplice vista di un cumulo nembo deve indurre a sospendere i decolli e a richiamare a terra tutti i piloti in volo.

 

Cos’è il Cumulo Nembo? Come riconoscerlo?

 

Nell’Atlante Internazionale delle Nuvole messo a punto dalla World Meteorological Organization (WMO) il cumulonembo viene definito come una nuvola “densa, pesante e con una notevole portata verticale, che si erge a forma di enorme montagna o torre”. La caratteristica peculiare del cumulonembo è proprio la sua struttura torreggiante e cilindrica, che dalla bassa quota, ovvero circa 2mila metri di altezza, può arrivare sino alla cosiddetta troposfera, ovvero a 12mila metri dalla superficie terrestre.

Il dettaglio più affascinante risiede proprio nella porzione apicale, che spesso culmina con una struttura molto allargata a forma di incudine, piatta e ben definita. Non mancano le varianti striate e fibrose, ma il tipico cumulonembo a incudine (cumulonimbus incus) ne rappresenta la fase più sviluppata e spettacolare, oltre che la più ‘violenta’ sotto il profilo temporalesco

 

Come si forma il cumulo nembo e in quale periodo è più facile avvistarli?

I cumulo nembi sono nubi caratterizzate da fortissime correnti d’aria ascensionali all’interno e discendenti all’esterno che si formano a causa di fenomeni di condensazione ed evaporazione a temperature inferiori rispetto a quelle che danno vita ai cirri (nubi alte e stratificate), tuttavia l’aria deve essere sempre calda, umida e tipicamente instabile. Per questa ragione è molto più probabile avvistarli in estate.

Nell’immagine che segue puoi vedere lo schema con le linee di flusso d’aria che caratterizzano un cumulo nembo in fase di avanzato sviluppo. A causa della forza dei venti ad esso associati e per la notevole turbolenza creata, questa nube viene evitata anche dai grandi aerei di linea.

Metereologia pratica: viaggio nel cumulo nembo

 

E finalmente come promesso all’inizio di questo articolo ti spiego per filo e per segno cosa significa “far visita” ad un cumulo nembo: leggendo capirai che sopravvivere ad un cumulo nembo è un vero miracolo e mi auguro che deciderai di evitare di sottoporti al rischio di incontrarlo nei tuoi voli.

 

 

“Faccio Ancora un giro e poi esco al sole”

Aprile 1986 – Monte Cornizzolo (Lecco). Una gara italiana di deltaplano viene annullata per

l’approssimarsi di formazioni temporalesche. Sono molti i piloti in decollo con il deltaplano già montato e alcuni decidono di decollare pensando di trasferirsi in volo verso la pianura soleggiata evitando il temporale.

Anche io mi imbrago e decollo.

Salire ad ampie spirali a + 1 metro /secondo costante, in mezzo ad una pioggerella fine e, sotto, vedere un tenue arcobaleno fare da cornice all’atterraggio del Brughetto, è molto più di una bella sensazione.

Il tempo di impugnare la macchina fotografica e l’arcobaleno è sparito! Guardando in alto, mi appare meno lirica l’estesa cappa scura che sovrasta tutta la zona a sud del Lago di Como e mi dirigo quindi verso la pianura ancora soleggiata.

L’ascendenza diventa un po’ più sostenuta e, più per riflesso condizionato che per scelta, inclino l’ala e comincio a salire in un + 3 dolcissimo in perfetto relax, nonostante sia a bassa nube a 1500 metri di quota. “Faccio ancora un giro e poi esco al sole” penso, e la spinta verticale aumenta ancora. “Adesso esco” e tiro la speedbar alle ginocchia, direzione 220 gradi bussola.

 

La salita vertiginosa dentro al cumulo nembo

Passano i secondi ma la nebbia non si dirada. Tiro al massimo e mi rannicchio a palla per dare un’occhiata al variometro che non sento più per il gran fischiare dell’aria, e la lancetta è immobile a fondo scala a salire. Barra sotto i piedi… e il risultato non cambia. Sono a 2000 metri dentro il cumulo e sto salendo vertiginosamente.

Avverto per radio la mia base di quello che mi sta succedendo, senza eccessiva preoccupazione: prima o poi, andando verso sud, sbucherò fuori dalla nuvola!

La lancetta dell’altimetro è in costante movimento, il vario è al massimo, la bussola non è più stabile e le braccia cominciano ad indolenzirsi. Mi preoccupo per la resistenza dell’aquilone che è da un bel po’ sotto pressione; allento la pressione sulla barra e mollo l’overdrive perché penso di avere più diedro e quindi più stabilità.

La pioggia di prima è grandine ora, ma non ci penso nemmeno, tanto sono impegnato a stare aggrappato alla barra.

 

La “bestia grigia” comincia a farmi veramente paura

3000 metri: in altre occasioni sarei stato euforico, ma ora, più vado su e più perdo la speranza di uscire da questa bestia grigia che comincia a farmi veramente paura perché, nonostante tutto l’impegno che ci metto per tenere la direzione e l’assetto, mi rendo conto di essere totalmente impotente.

Mi sto coprendo di neve ghiacciata, il freddo è intenso e respiro affannosamente.”Sembro Babbo Natale!” dico per radio, cercando di sdrammatizzare la situazione che diventa ogni minuto più pesante.

Il bordo d’attacco del delta è coperto da uno spesso strato di ghiaccio trasparente e non ha più la sua forma rettilinea e la doppia vela è molto staccata dall’extradosso; mi sposto a sinistra e la bussola mi indica una rotazione a destra, e viceversa; sto fermo in centro alla barra senza avvertire centrifughe e la pallina numerata rotea vorticosamente e, a volte, si blocca sul nord, nonostante cerchi di virare a sud in tutti i modi. Sono senza riferimenti, in tilt completo.

Nel frattempo il vario non ha mai cessato di gridare, nemmeno sotto lo strato di ghiaccio di cui è coperto. “Forse si è rotto” penso e gratto via il ghiaccio dell’altimetro a polso per controllare la quota.

Per vederlo devo appoggiargli sopra la guancia e guardare da sotto gli occhiali da vista che sono ghiacciati. Leggo 4000 metri di quota nella finestrella del Tommen, e ancora sto salendo.

Sono disperato e decido di non rispondere più alle chiamate

Sono disperato, ma non voglio farlo capire a chi è in contatto radio: la compassione non mi sarebbe di aiuto, e non rispondo più alle chiamate.

Ogni volta che stacco una mano dalla barra per levarmi il ghiaccio dal viso, sono sottoposto a delle fortissime pressioni che mi schiacciano nell’imbrago e rendono quasi impossibile la mia già precaria respirazione. Si è formato del ghiaccio anche tra le lenti e gli occhi e non vedo più niente. Sto buttando gli occhiali, ma poi penso che, se per caso, uscissi non riuscirei a vedere le linee elettriche in atterraggio e, decido quindi di abbassarli sulla bocca. Questo è l’ultimo atto di volontà prima di un lungo periodo di non reazione, di completa rassegnazione.

Il ghiaccio sul viso ed il freddo, non li sento più, gli occhi li apro di tanto in tanto solo ai bagliori delle scie di luce gialla e rosa che sento passare vicinissime, manifestandosi con sinistri fruscii anziché con i consueti tuoni e rombi. La radio mi sembra muta. Non avverto più la turbolenza né il rollio dell’aquilone, né le centrifughe: la mia residua attenzione è completamente rivolta all’interno. Da un po’ ho anche smesso di pregare insistentemente, e sono in uno stato di coscienza molto vicino alla pace, in completo abbandono.

L’insistenza della radio mi risveglia da questo torpore: “220 gradi, c’è il sole a sud, dai che ce la fai, c’è qualcuno che ti aiuta sempre, non mollare!”

 

“Come è assurda questa radio” penso “io ho già mollato da un pezzo…”

Ma mi rendo conto che non è giusto non fare niente e mi viene in mente quando nei voli di cross si è bassi e si comincia a guardare l’atterraggio e la volontà sta scemando e ti rassegni ad atterrare. Ma poi ti ribelli alla planata che sembra ineluttabile e rinnovi l’impegno e le energie per risalire in competizione con l’altro te stesso che vorrebbe mollare. Poi, finalmente, ce la fai, ed è già questa una vittoria, oppure non ce la fai, ma sei ugualmente contento di stesso per averci provato con tutto il tuo impegno. E allora gratto via il ghiaccio dalla bussola, ci incollo l’occhio e tiro la barra, anche se non credo che voli più come un delta quello a cui sono agganciato. Per qualche raro momento riesco a mantenere la rotta, ma ora sono in caduta libera e la punta del delta mi appare molto bassa davanti a me.

Temendo il tumbling, spingo istintivamente la barra più in avanti che posso, ma sono contento di questa sensazione di discesa dopo tanto salire.

Comincio ad intravedere qualcosa nel profondo grigio della nube, ma sono incredulo.

 

Ritorna la voglia di salvarmi

 

 

Mi ritorna la voglia di rispondere alla radio e tiro come un matto per scendere di più, mentre si scatena una bufera di grandine.

Gratto via dall’altimetro il ghiaccio che continuamente si riforma, perché ho paura di centrare qualche cima di montagna perdendo quota così velocemente e leggo: 2700 metri.

Mi tranquillizzo e continuo a tirare, finché finalmente comincio a distinguere l’orografia del terreno, ma con stupore mi accorgo che la terra sottodi me gira vorticosamente.

Mi ci vuole un po’ per capire che sono io, in virata stretta velocissima, e pensare che non sento minimamente la centrifuga!

 

Una gioia incredibile: sono fuori dal nembo!

Ormai sono fuori completamente dal nembo. Ho una gioia incredibile nonostante sobbalzi ogni volta al rumore del ghiaccio che, pezzo per pezzo, si sta staccando dall’aquilone e striscia contro la vela.

Il vario è da tempo fuori uso, ma l’altimetro mi dice che sto scendendo come una pietra ed è ora di trovare un prato e riprovare a guidare il delta.

Trovo una specie di aeroporto, ma l’atterraggio non è facile a causa di un violentissimo vento da nord che ostacola l’avanzamento.

Mi poso comunque dolcemente, incredulo e ansioso di abbracciare chi mi ha aiutato moltissimo per radio incitandomi e provocando la mia reazione positiva. Il temporale mi ha trasportato a 25 km. di distanza dal punto in cui mi ha risucchiato, per più di un’ora di rodeo aereo.

Non faccio a tempo a dire una preghiera di ringraziamento e a sganciarmi, che un’automobile si ferma. Ne scendono sposo, sposa e compare e mi chiedono: “Possiamo fare una foto con il deltaplano?”

“Che il vostro matrimonio possa superare le bufere che ha sopportato questo aquilone!…” auguro loro, felice che mi sia ritornato il buonumore e la voglia di ridere.

 

Morale: Io ne sono uscito ma anche se sei un pilota di Deltaplano o parapendio esperto non rischiare e valuta le condizioni meteorologiche attentamente prima di decidere se ti conviene davvero volare! Se hai qualsiasi dubbio rispetto a quello che hai letto e desideri approfondire il discorso scrivimi o telefonami.

 

Al prossimo volo!

Scopri il corso di perfezionamento individuale per Piloti con Brevetto
Graziano Maffi
graziano@giocodelvolo.it

E’ il fondatore e l’attuale Presidente della Scuola di Volo Libero in parapendio e Paramotore Aero Club Lombardia. Tra i pionieri del volo libero dal 1979, fu il primo istruttore ad utilizzare il volo biposto nella didattica in Italia. Attualmente è responsabile Sicurezza per il Club di piloti di Parapendio di riferimento dell'Oltrepo Pavese, "Le Poiane d’Oltrepo"



Shares
× Scrivi a Graziano